L’Amanda Knox Reality Show

Amanda Knox qualche momento prima del verdetto. Freeze frame di APTN video girato da Nick Dumitrache.

Amanda Knox è tornata a casa, a Seattle, la APTN ha portato via il pulmino satellitare, ritirato i cavi dall’aula del tribunale, impacchettato i computer. E ora sono di nuovo a Roma.

Dopo sei giorni trascorsi a Perugia, finalmente ho un momento per scrivere le mie riflessioni sugli ultimi giorni del processo di appello.

Alcuni lettori di questo blog saranno un po’ stufi di questa storia, perciò questo è l’ultimo post in cui descrivo la mia esperienza personale, lo sfondo di emozioni, le tecniche dei media (come le moderne tecnologie hanno cambiato la copertura di questa storia), e alcuni piccoli dettagli tralasciati dai titoli di apertura di giornali e telegiornali. Ho intitolato questo post “l’Amanda Knox Reality Show” perché, come tanti giornalisti che l’hanno seguito, credo che sia diventato esattamente questo, uno show su Amanda Knox in tempo reale. Il suo complice Raffaele Sollecito, e la vittima, Meredith Kercher, sono stati quasi dimenticati nell’attenzione generale verso la giovane donna di Seattle.

La mattina della sentenza, il primo inviato di AP Television era in tribunale alle 4.30 del mattino per occupare il posto migliore al momento dell’apertura, alle 8.45. E’ arrivato quindicesimo. La NBC aveva mandato il suo cameraman a mezzanotte.

Ho comprato i giornali locali e ascoltato i commenti del giornalaio di fronte al tribunale. Ha detto che stava guadagnando bene con tutti noi giornalisti che compravamo sei giornali al giorno, ma avrebbe preferito non guadagnare quei soldi, non voleva altro che questa storia finisse. Voleva che Amanda se ne tornasse negli Stati Uniti. Ho fermato un paio di persone per strada per sentire cosa pensavano. Un’abitante di Perugia, Angela Nardone, ha sbottato: “Siamo stufi, non ce la facciamo più! Secondo me Amanda e Raffaele sono colpevoli di omicidio.”

Alle 9, è arrivata Edda Mellas, la madre di Amanda. Indossava un abito nero e una croce francescana. Piccola digressione. Sul mio compiuter ho un video di Edda Mellas e sua figlia Deanna in tribunale il giorno della sentenza del primo processo. Sorridevano e si scattavano foto come al museo. Questa volta Edda Mellas conosceva bene la posta in gioco. Il suo abito sobrio diceva molto in proposito. Interessante anche la croce. San Francesco viveva ad Assisi, non lontano da Perugia. Predicava l’umiltà e la semplicità. Devo dire che lunedì Edda Mellas mi è apparsa come una semplice, umile madre che voleva disperatamente il rilascio della figlia.

Il processo si è tenuto nell’Aula degli Affreschi, due piani sottoterra. Sulla parete di fondo, due bellissimi affreschi.

Ho scherzato con un producer dicendo che tutto quel correre su e giù per le tre rampe di scale che portano all’aula era meglio di qualunque allenamento in palestra.

Lunedì Amanda è entrata in aula, aveva un aspetto orribile. Testa china, capelli scompigliati, pelle macchiata, colorito giallo chiaro. (I suoi genitori ci hanno detto che ultimamente non ha mangiato né dormito). Indossava una camiciona verde e una giacca con un cappuccio nero.

Il clue della seduta è stato quando Amanda ha preso la parola per l’ultima volta. Prima di cominciare, il suo presunto complice Raffaele Sollecito ha rilasciato una dichiarazione spontanea. Era vago e poco chiaro. In sala stampa, i giornalisti si scambiavano occhiate interrogative. “Ma cos’ha?”, diceva uno. “E’ sotto sedativi?”, chiedeva un altro. In ogni caso, Sollecito è riuscito ad arrivare al dunque con la frase: “Non ho mai fatto del male a nessuno, mai in vita mia.”

Poi è stato il turno di Amanda. Si è alzata e ha pronunciato il discorso più avvincente e toccante di tutto il processo. Piangeva, smetteva di parlare per riprendere fiato, si torceva le mani. Tutti i giornalisti presenti erano totalmente avvinti. In un italiano quasi perfetto, ha detto: “Non ho ucciso… non ero là… voglio andare a casa, rivoglio la mia vita. Non voglio essere punita e privata della mia vita per qualcosa che non ho fatto, perché sono innocente.”

Roba forte. Non so cos’abbiano pensato i giurati, ma di sicuro aveva persuaso i giornalisti. “Se davvero ha ucciso Meredith, è un’attrice nata”, ha mormorato un giornalista inglese accanto a me.

Dopo la dichiarazione spontanea di Amanda, il giudice ha aggiornato la seduta, ma prima di invitare la giuria a ritirarsi, ha dato un avvertimento. “Questa non è una partita di calcio, è stato commesso un terribile crimine… due giovani rischiano di rovinarsi la vita…” Ha aggiunto anche che quando sarebbe stata letta la sentenza, non voleva alcuna tifoseria all’opera, cioè niente esultazioni da nessuna parte. E quanto aveva ragione, visto quello che sarebbe poi successo fuori dal tribunale.

La giuria si è ritirata in camera di consiglio. Ci hanno detto che la sentenza non sarebbe arrivata prima delle 8 di sera. Abbiamo montato e scritto le nostre storie, e la troupe è andata alla prigione. Poi abbiamo saputo che la famiglia Kercher era arrivata per ascoltare la sentenza e avrebbe tenuto una conferenza stampa. Una troupe è corsa a riprendere il loro arrivo all’aeroporto e trasmettere in diretta la conferenza stampa.

Ho mangiato un’insalata al volo insieme al mio collega Paolo Santalucia, coordinatore per la copertura di AP Television. Eravamo seduti al tavolino esterno di un bar vicino al tribunale. Dietro di noi, dozzine di pulmini satellitari con le grandi parabole puntate al cielo come bagnanti in spiaggia. Il bar era affollato di giornalisti indaffarati al computer, al telefono, con il blackberry… più lontano c’era una foresta di cavalletti e stativi per le luci delle postazioni per la diretta dei corrispondenti.

Dopo pranzo c’è stato un momento di calma. Ho chiamato degli amici che vivono a Perugia, Nicola e Francesca, e loro mi hanno invitato a prendere un gelato. Mi hanno offerto un cono stracciatella e caffè e abbiamo passeggiato insieme nel centro di Perugia. Era una giornata spettacolare, fredda e assolata, il centro storico di Perugia, con le sue chiese, fontane e pavimenti selciati è molto bello, ma l’adrenalina stava ricominciando a scorrere e io non riuscivo a rilassarmi. Entrando nela gelateria, ho visto i due pubblici ministeri (Mignini e Comodi) che pranzavano in un ristorante all’aperto insieme al legale dei Kercher (Maresca). Ho subito mandato un messaggio a Paolo per chiedergli di mandare una troupe a riprenderli. “Ci servono immagini per mostrare come l’accusa aspetta la sentenza.” Poi ho proseguito insieme ai miei amici e al mio gelato mezzo liquefatto. Un gruppo di colleghi erano seduti a un ristorante. ll mio amico John Follain, autore del libro in prossima uscita “Death in Perugia”, mi ha chiamato al suo tavolo. Voleva avere notizie sulla partenza di Amanda nel caso venisse rilasciata. Circolava voce che un miliardario americano stesse mandando il suo jet all’aeroporto di Perugia, si trattava forse di Donald Trump?

Ho continuato a passeggiare con i miei amici e il mio gelato. Poi ho ricevuto la telefonata di Rocco Girlanda, assistente di un deputato. Girlanda aveva appena fatto visita ad Amanda in prigione. Stava aiutando a pianificare la sua partenza. Era disposto a rilasciarmi un’intervista. Perciò ho lasciato i miei amici, trangugiato il resto del gelato e sono corsa fuori città insieme a un cameraman verso la prigione di Capanne, dove Amanda aspettava di conoscere il proprio destino.

Abbiamo fatto l’intervista sulla strada che porta alla prigione. Girlanda mi ha detto che aveva appena incontrato Amanda, era nella cappella della prigione, da sola, suonava la chitarra e cantava. Ha detto che avevano fatto programmi per il trasferimento all’aeroporto di Roma nel caso fosse stata liberata. Terminata l’intervista, ho lasciato il cameraman Fulvio Paolocci fuori dalla prigione e sono tornata in città. Avevo con me il portatile e ho cominciato a montare freneticamente il pezzo mentre il tassista correva sulla strada serpeggiante. Strano che non mi sia sentita male. Finito di montare, ho collegato la scheda telefonica al computer e ho cominciato a trasmettere il video mentre, ancora nel taxi, scrivevo l’articolo che lo accompagnava.

Inviata la storia, ho postato su Twitter che un rappresentante del governo mi aveva detto che Amanda avrebbe preso un aereo per Roma. Evidentemente su Twitter c’erano tanti altri giornalisti, perché nel giro di mezz’ora, CNN, Sky Italia, BBC e ABC mi hanno telefonato per chiedermi altri dettagli.

Di nuovo in tribunale, non si avevano notizie della giuria, ma fuori stavano arrivando gli abitanti di Perugia, un flusso costante, che insieme ai cinquecento giornalisti che correvano su e giù, avevano formato una piccola folla.

Alle 8 di sera, è giunta la notizia che il verdetto era previsto per le 21.30. Associated Press Television News e Reuters TV erano state scelte per fare “pool” e riprendere la lettura del verdetto anche per gli altri network. Stessa cosa è avvenuta per gruppetto di giornalisti e fotografi. APTN aveva previso due telecamere, una su ciascun lato dell’aula. Io sarei rimasta accanto a un cameraman da una parte e fatto cenni al mio collega Gigi Navarra dall’altra parte dell’aula, accanto al secondo cameraman. Non avremmo potuto usare cellulari o walkie-talkie, dovevamo essere discreti e veloci. Era importante che le due telecamere avessero sempre inquadrature diverse, perciò abbiamo inventato dei segnali per “primo piano di Amanda”, “piano medio di Amanda, “primo piano dei Kercher”, “piano medio dei Kercher”, “totale dell’aula”, “primo piano del giudice”.

I giornalisti scelti per assistere alla lettura del verdetto si sono raggrupparti davanti all’ingresso del tribunale. Carabinieri e poliziotti in borghese ci hanno controllato i documenti. Poi ci hanno messi in fila e portati all’interno. Procedevamo in fila indiana giù per le scale, poi ci hanno fermato, uno su ciascun gradino, e ci hanno detto che fare silenzio perché la giuria era ancora riunita in una stanza adiacente. Faceva molto caldo, giornalisti, troupe televisive e poliziotti erano accaldati, si cominciava a sentire un certo olezzo di sudore. Eravamo tutti nervosi. Per passare il tempo, Gigi e io praticavamo i nostri segnali “primo piano di Amanda”, “largo sul giudice”, “medio sui Kercher”, ma alla fine abbiamo cominciato a confonderci.

Finalmente ci hanno fatto entrare nell’aula vuota. Bisognava montare in fretta piccole piattaforme, scalette, cavi, cavalletti e microfoni. Non ci è voluto molto per cominciare a bisticciare sulle postazioni. L’impiegato del tribunale ci ha invitati a fare silenzio e portare rispetto.

Intanto sono arrivate le famiglie. Quella di Amanda, quella di Raffaele e quella di Meredith Kercher. La madre di Meredith, Arline, era venuta ad assistere al verdetto insieme alla sorella Stephanie e al fratello Lyle. Per tutta la durata di questa vicenda, la famiglia Kercher ha sempre dimostrato una dignità ammirevole. Tutta la famiglia – i genitori e i tre figli rimasti – hanno mantenuto un contegno rispettoso verso tutte le persone coinvolte. I Kercher si sono accomodati nelle ultime file e atteso il verdetto con sobrietà.

Poi è emerso il drappello di guardie penitenziarie con i loro berretti blu, che hanno scortato in aula l’esitante Amanda. Era curva, tremava e piangeva. Ha preso posto e i suoi avvocati hanno cercato di confortarla. Ho fatto un cenno a Gigi. “Primo piano su Amanda”. Il cameraman Nick Dumitrache, di Bucarest, ha zumato su Amanda.

Non vorrei dire una cosa banale, ma la tensione in aula era tale da potersi affettare.

Mentre aspettavamo il giudice e la giuria, Amanda ha continuato a frignare. Nick la stava inquadrando, poi all’improvviso, con l’occhio ancora attaccato all’obiettivo, mi ha stretto forte il braccio. “Che c’è – ho sussurrato allarmata – la telecamera non funziona? Non c’è audio?”

“No, no, funziona tutto – ha risposto lui con un sussurro – solo che non ce la faccio. Non possono condannarla. Non possono farle questo.”

Solo due notti prima avevo spiegato tutta la vicenda a Nick in un’affollata trattoria di Perugia. Eravamo a una lunga tavola di inviati di AP e volevo essere sicura che i miei colleghi di Bucarest Nick e Olimphiu conoscessero tutti i dettagli del caso.

In due soli giorni, Nick si era appassionato alla storia. Amanda sembra avere questo effetto sulle persone.

Poi è entrato il giudice e ha letto il verdetto. La famiglia Knox ha reagito con contegno. Qualche urrà, abbracci e lacrime. Amanda è crollata. Mi è passata davanti scortata dalla polizia penitenziaria. Singhiozzava disperatamente, sorretta dalle due guardie che l’hanno accompagnata fuori.

Terminata l’udienza, ho risalito per l’ultima volta le tre rampe di scale e una volta fuori, ho assistito a una scena scioccante. La piazza era affollata di gente che urlava “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”. Poi hanno cambiato slogan e iniziato a cantare “Meredith” “Meredith” “Meredith”. Era chiaro che la folla fuori dal tribunale non condivideva l verdetto. Il giudice lo aveva previsto.

Insieme al cameraman Gianfranco Stara, ho cercato di farmi strada tra la gente per raccogliere commenti. Siamo riusciti a fermare il difensore di Amanda, Carlo Della Vedova. Qualche giorno prima gli avevo detto che mia figlia e sua nipote erano amiche e compagne di classe in prima media. Credo che si sia impietosito davanti a questa povera mamma lavoratrice e mi ha fatto la seguente dichiarazione: “Amanda non vede l’ora di tornare a casa, dalla sua famiglia, a Seattle. E’ grata al sistema giudiziario italiano che ha rettificato un errore.”

Dal tribunale, Gianfranco e io abbiamo tentato di raggiungere le troupe che aspettavano di riprendere Amanda uscire di prigione. Troppo tardi. Quando siamo arrivati, ci hanno detto che era già andata via a bordo di una Mercedes nera seguita da una Jeep.

Corrado Daclon della Fondazione Italia-USA ha accompagnato Amanda fuori dalla prigone e il giorno seguente, all’aeroporto di Roma. In seguito mi ha detto che mentre Amanda passava nel cortile interno della prigione, tutti i detenuti del blocco maschile gridavano “AMANDA, AMANDA, AMANDA” e “LIBERTA’”, “LIBERTA’”. Ha detto che agitavano indumenti bianchi sporgendo le braccia dalle sbarre. Amanda aveva fatto un salto di gioia e ricambiato il saluto.

Dalla prigione, sono tornata in tribunale in tempo per il mio reportage sul servizio online di AP.

Io facendo un stand-up per Associated Press fuori il tribunale dopo il verdetto

PERUGIA, IL GIORNO DOPO

 

Il giorno dopo la partenza di Amanda, i Kercher hanno tenuto una conferenza stampa. APTN l’ha trasmessa in diretta. Ancora una volta, sono rimasta colpita dalla loro dignità. Hanno espresso tristezza e frustrazione per il verdetto. Hanno detto che se la corte aveva concluso che Rudy Guede non ha agito da solo e che Amanda e Raffaele non erano in quella casa, allora si chiedevano chi fosse stato, aggiungendo che aspetteranno e continueranno a sperare. I Kercher sono davvero bravi a parlare, chiari, decorosi. Un esempio per tutti.

Credo che la città di Perugia possa uscirne a testa alta. E’ stata il teatro di una terribile tragedia, che però avrebbe potuto succedere ovunque. I perugini hanno sopportato l’invasione di una folla rapace di giornalisti che si aggiravano per la città con i microfoni puntati a chiunque. Adesso è finita, e Perugia può tornare a essere la bellissima città collinare italiana che è sempre stata.

Tornata a Roma, questa mattina sono stata invitata a Unomattina per parlare del caso. Quando mi sono seduta nello studio, ho guardato il filmato di Amanda che arrivava a Seattle ricevendo un benvenuto da stadio dai suoi fan oltreoceano.

“Ah – ho pensato – l’Amanda Knox Reality Show non è ancora finito.”

ALCUNE NOTE FINALI SU COME CAMBIANO I MEDIA:

TWITTER

I media e i sistemi di trasmissione cambiano a ritmo continuo ogni giorno. Questa è la prima storia in cui Twitter sembra aver svolto un ruolo importante. La mia collega Barbie Nadeau twittava dall’interno del tribunale. Mi ha spiegato che stava fornendo un resoconto in tempo reale del processo (ogni puntata, 140 battute) in modo da dare ai suoi seguaci la sensazione di essere presenti in aula. Le ho chiesto come poteva seguire il processo se era sempre a twittare, ma lei ha risposto usa Twitter come un blocchetto per appunti. Anche John Hooper, corrispondente del Guardian e dell’Economist, era spesso su Twitter dal tribunale. E tanti altri partecipavano, il freelance Andrea Vogt, Daniel Sanford della BBC… l’ho fatto anch’io negli ultimi giorni, fornendo piccoli dettagli e descrizioni, e ho notato che il numero dei miei seguaci era aumentato esponenzialmente. Pare che Amanda Knox sia un buon mezzo per attirare l’attenzione. I giornalisti usavano Twitter anche per condividere informazioni sul caso, notizie come dov’era Amanda, quando ci sarebbe stata la conferenza stampa dell’accusa, cosa facevano i Kercher… Insomma, una vera e propria bacheca.

LIVE U

Per inviare le immagini, APTN ha cominciato a usare quello che chiamiamo LIVE U, una sorta di zainetto a cui si collega una telecamera, poi si compone un numero e si inviano le immagini in diretta. Non sono molto esperta di cose tecniche, ma pare che all’interno abbia l’equivalente a quattro schede telefoniche che permettono la trasmissione del segnale video. La qualità è ovviamente inferiore a quella data da una telecamera collegata a un pulmino satellitare, ma le immagini sono utilizzabili. Inoltre ci si può spostare velocemente da un posto all’altro. Così, per questa storia, APTN ha potuto usare il pulmino satellitare al tribunale e il LIVE U alla prigione, fornendo immagini da due location senza incorrere in costi esorbitanti. Tutto parte dell’Amanda Knox Reality Show.

FTP E CARTE TELEFONICHE

Questo sistema di trasmissione è meno nuovo, ma ha cambiato il mio modo di lavorare. Come ho accennato prima, quando lavoro sul campo porto sempre il mio MacBook. Quando il cameraman ha finito di girare un pezzo, mi lascia una scheda P2, una targhetta di metallo grande quando una carta da gioco. Io scarico le immagini, le monto con il programma Final Cut Pro e poi le trasmetto usando una carta telefonica.

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