La Mancata Occasione di Diventare Principessa

Moses, un guerriero Maasai, io, in un fase adolescenziale, e mia madre in le colline di Loita, Kenya, 1979.

Parte II – La mini-melanzana viola e la mancata occasione di diventare principessa

Avanzamento veloce di sette anni, dalla Batrasi Resthhouse nel Pakistan occidentale a Nairobi, in Kenya. Mio padre lavorava a un progetto congiunto dell’Harvard Institute for International Development e il Ministero dell’Agricoltura kenyota. E mia madre scorazzava per il Paese nel nostro pulmino Volkswagen compiendo ricerche per il suo Phd sulle Donne nello sviluppo. Mia madre trovò subito uno charmant dottore inglese con un bel senso dell’umorismo, il dottor Batey, che condivideva la sua mentalità del ‘Non è niente’. Infatti io non avevo nient’altro che una benigna, seppur leggermente irritante ameba che abitò nel mio intestino per tutto il primo anno in Kenya, prima che il dottor Batey si decidesse a fare qualcosa in proposito. Però a dire il vero, a Nairobi ero molto felice e non credo che l’ameba mi disturbasse tanto.

Nei tre anni che abbiamo vissuto a Nairobi, dal 1976 al 1979, io ero adolescente, avevamo attorno un gran numero di ventenni attraenti e gradassi e io avevo una cotta per tutti loro. L’insegnante di mio fratello, Pete Logan, era un tipo alto stile Marlboro, completo di baffi e stivali da cowboy. Dopo la scuola, il venerdì saltava in moto e andava a Loita Hills per far visita ai suoi amici guerrieri masai e fare cose da macho come cacciare i leoni con i rungus (bastoncini di legno con un pesante pomello intagliato), per poi sgozzare una capra per cena e bere un po’ del suo sangue dalla giugulare prima di arrostirla sul fuoco. (Non scherzo, sono andata anch’io a una di quelle feste). Vedi la foto sopra con il bellissimo guerriero masai Moses, un’imbarazzata tredicenne – io – e la mamma ‘non è niente’.

Poi c’era Montague Demment (Tag per gli amici), una sorta di Jane Goodall kenyota, ma con i babbuini. Era un grosso orsacchiotto con una fantastica barba biondastra e un senso dell’umorismo contagioso. Passava le giornate a girovagare con una truppa di babbuini.

Un anno, durante le vacanze di Natale, quando a Nairobi c’è un clima spettacolare, i miei genitori organizzarono una cena con tanti bambini, famiglie e alcuni di quegli uomini terribilmente macho. La festa iniziò nel tardo pomeriggio con una partita di basket sul vialetto. Il gioco stava diventando un po’ troppo competitivo e aggressivo, Tag lanciò la palla a mio padre e io – disperatamente ansiosa di mettermi in mostra – feci un salto a braccia tese per intercettarla. Penso che quella palla mi abbia fratturato l’osso nel mio mignolo. Mi faceva malissimo, ma non volevo smettere di giocare. Dovevo far colpo su Tag.

All’ora di cena, tirai da parte mio padre e gli mostra il mignolo gonfio. “Accidenti, ti sei acciaccata quel dito per bene, non ti preoccupare, non è niente”, disse dandomi una pacca affettuosa sulla spalla.

Il giorno seguente partimmo per un safari di due settimane nel parco di Tsavo. Passavamo giornate intere a osservare leoni ed elefanti, e montavamo le tende vicino a fiume popolati di coccodrilli e ippopotami. Il mio dito dolorante era diventato una mini-melanzana viola. Lo mostrai a mia madre. “Lo facciamo vedere al dottor Batey quando torniamo a Nairobi – e aggiunse – Ma sono sicura che non è niente.”

Tornati a Nairobi, entrai marciando nello studio del dottor Batey e misi la mia mini-melanzana viola sulla sua scrivania. “Oh, NO!” disse dandosi una pacca sulla fronte. “Non va per niente bene. Adesso non puoi sposare il principe Carlo. Non sarebbe possibile mettere una fede nuziale reale vicino a un dito così brutto. Immagini i fotografi?” Prese il dito, lo mosse un po’, poi mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “Senti, se pensi che ti piacerebbe sposare il principe Carlo, posso prendere un martello e romperlo di nuovo, mettere una bella stecca e sistemarlo per bene.” Io decisi che potevo vivere senza il principe Carlo e la storia finì là. Niente radiografie, niente chiasso. Tornai a casa con la mia mini-melanzana. Il mio dito è ancora un po’ uno strano, a riprova del mio disinteresse a diventare principessa. E mia madre aveva ragione, “non era niente”, ma la mie avventure non erano finite.
Domani: Parte III – L’orologio da tasca mancante e la situazione spinosa

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *